Brevetti e discriminazioni nella gestione della pandemia

La devastazione della pandemia in tutto il mondo causata dal Sars-Cov-2 ha evidenziato anche l’inefficienza degli Stati nel combatterla e il loro condizionamento da parte delle Grandi Fondazioni e multinazionali del farmaco.

Alcuni gruppi privati, in particolare le grandi aziende farmaceutiche, hanno tratto nel corso della pandemia, e continuano a trarre, profitti enormi avendo i monopoli dei brevetti.

Il brevetto è un attestato che assicura il diritto di produrre in esclusiva per la durata di 20 anni un prodotto. Le protezioni accordate ai brevetti per impedire che altri ne traessero vantaggio valevano inizialmente solo all’interno dei singoli Stati, ma gradualmente la protezione si è estesa a livello mondiale.

La globalizzazione ha favorito i flussi di merci e capitali, ma ha inasprito i divieti per i brevetti. In particolare i brevetti farmaceutici che dovrebbero essere facilmente reperibili a bassi costi, in quanto destinati a proteggere la salute delle persone, sono diventati una fonte di speculazione e di guadagno per pochi. Si è così venuta a creare una discriminazione fra Stati, che ha posto in ancora maggiore difficoltà i paesi poveri del sud del mondo.

India, Brasile, Thailandia, stati che non facevano parte dell’Organizzazione mondiale del Commercio (OMC) e che quindi non avevano degli “obblighi di licenza” verso soggetti esteri proprietari dei brevetti, avrebbero potuto far sorgere un’industria farmaceutica locale per produrre farmaci a prezzi molto inferiori a quelli commercializzati dalle imprese proprietarie dei brevetti.

Inoltre avrebbero potuto, con il sorgere di queste industrie farmaceutiche locali, porre un limite a un comportamento, certamente immorale, dei grandi gruppi, in particolare farmaceutici che, per le loro ricerche si avvantaggiano di enormi capitali pubblici, ma continuano ad aumentare le discriminazioni e le disuguaglianze fra Stati ubbidendo soltanto alla logica del profitto.

Si ricorda che, nel 1997, quando il Sudafrica di Nelson Mandela affrontò una gravissima crisi per la diffusione del virus HIV, gli unici fornitori di farmaci erano le grandi multinazionali che non concedevano le licenze, ponendo a rischio milioni di persone, per guadagnare di più. In quel frangente Mandela promulgò una legge – Medical Act – che consentiva la produzione locale o l’importazione di farmaci in deroga alle norme sui brevetti dagli Stati che non facevano parte dell’OMC.

Una situazione quasi analoga si è ripetuta per i farmaci anti Covid-19 nell’ottobre 2020: India e Sudafrica si sono anche questa volta rivolti all’O.M.C. per richiedere la momentanea sospensione del trattato sulla protezione della proprietà intellettuale, perché impediva loro di procurarsi rapidamente e a costi contenuti il materiale che serviva (mascherine, vaccini, disinfettanti ecc.) per far fronte alla pandemia. Alla richiesta di India e Sudafrica però hanno aderito solo gli Stati più poveri, gli altri hanno dimostrato una totale sudditanza al potere delle multinazionali.

Sembra ora che si vada assumendo consapevolezza che si tratta di un problema globale e che se fra le popolazioni che non sono protette il virus circola più a lungo maggiore è la probabilità che si verifichino varianti più trasmissibili che verrebbero a colpire tutti i Paesi anche quelli che si oppongono alla liberalizzazione dei brevetti.

Diverso appare, quindi, l’atteggiamento di molti stati e dell’O.M.S. rispetto a quanto si verificò alla fine degli anni ’90. In questo mutato quadro internazionale la proposta del Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, di sospendere temporaneamente i diritti sui vaccini anti Covid 19 è stata accolta favorevolmente. Nella contesa tra proprietà intellettuale e diritto globale alla salute pare prevalere quest’ultimo.

La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, pur molto condizionata al suo interno dalle grandi multinazionali del farmaco che sono tra i principali suoi finanziatori, rendendosi conto che il suo ruolo nella gestione della pandemia ha finora dato scarsi risultati e che la pandemia non si può risolvere senza la condivisione globale del problema, si è dimostrata molto favorevole alla proposta del Presidente Biden definendola “una svolta storica”.

Va ricordato a questo proposito la registrazione accolta da parte della Commissione Europea dell’I.C.E. «Diritto alle cure», promossa da  parte Organizzazioni che svolgono un ruolo attivo in ordine al problema e presentata sul sito dedicato https://noprofitonpandemic.eu/ con le seguenti parole: “Tutti meritano
la protezione da Covid-19. Nessun profitto sulla pandemia”.

L’I.C.E. (Iniziativa dei Cittadini Europei) è uno strumento istituzionale di democrazia partecipativa grazie al quale si può impegnare, con il raggiungimento di un milione di firme, la Commissione Europea ad avviare determinate azioni giuridico-amministrative per garantire in primo luogo “che i diritti di proprietà intellettuale, compresi i brevetti, non ostacolino l’accessibilità o la disponibilità di qualsiasi futuro vaccino o trattamento contro la COVID-19”.

Nell’immediato le realtà italiane promotrici dell’I.C.E. “Diritto alla cura”, hanno rivolto una richiesta al governo perché sostenga presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio la proposta di India e Sudafrica di esentare dal brevetto i prodotti utilizzati per combattere la pandemia da Covid-19, in particolare i vaccini. In un mondo globalizzato, hanno osservato, in assenza di una risposta realmente inclusiva il virus continuerà a circolare e a mutare determinando, oltre a drammatiche ricadute in termini di sofferenze e vite umane, anche un crollo dell’economia dei singoli Stati, compresi quelli a più alto sviluppo.

Si raccomanda infine che alla liberalizzazione si accompagni il potenziamento delle strumentazioni e materiali occorrenti per la produzione dei vaccini in quegli Stati ove già esistono e alla loro creazione in Stati, dove ancora non esistono.

Avv. Michelangelo Massano

Descrizione immagine in evidenza: una mano nello spazio con una siringa cerca di vaccinare il mondo intero