Persone con disabilità e Caregiver familiare: Italia condannata dal Comitato delle Nazioni Unite.

In un caso che è stato definito “pionieristico”, il 3 ottobre 2022 il Comitato della Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità ha riscontrato che la mancata garanzia di sostegno finanziario e sociale ai caregiver delle persone con disabilità equivale a una violazione dei diritti umani. Nel comunicato relativo alle decisioni prese, il Comitato ONU afferma di aver “riscontrato che l’incapacità dell’Italia di fornire servizi di sostegno individualizzati a una famiglia di persone con disabilità è discriminatoria e viola i loro diritti alla vita familiare, a vivere in modo indipendente e ad avere un tenore di vita adeguato”. Markus Schefer, relatore del Comitato ha affermato che “Questo caso è un passo avanti perché il Comitato ha riconosciuto la violazione del diritto al sostegno sociale di un caregiver familiare, oltre ai diritti delle persone con disabilità”.

La condanna del Comitato ONU è arrivata a conclusione dell’esame della denuncia presentata nel 2017 da una donna italiana, Maria Simona Bellini, già presidente del Coordinamento Nazionale Famiglie con Disabilità (CONFAD), assistente famigliare di sua figlia e del suo partner, entrambi persone con disabilità e bisognose di assistenza continua. L’impegno nelle attività di cura la avevano obbligata, in un primo momento, a richiedere di poter telelavorare da casa, possibilità che però, dopo alcuni anni, le era stata negata, lasciandola senza la possibilità di lavorare e senza alcuna forma di protezione sociale, con gravi ricadute negative sul piano economico, sociale e sanitario sull’intero nucleo famigliare.

Nel 2017 Maria Simona Bellini decise, quindi, di ricorrere al Comitato ONU sostenendo che il fatto che l’ordinamento giuridico italiano non preveda alcuno status giuridico e alcuna tutela per i caregiver familiari, rappresenta una violazione, ai sensi della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, dei diritti suoi, di sua figlia e del suo partner. In particolare M. S. Bellini sosteneva che:

– il vuoto giuridico che caratterizza l’ordinamento italiano lascia i caregiver familiari vulnerabili ed esposti alla “discriminazione per associazione”, in violazione dell’articolo 5 della Convenzione;

– la mancanza di riconoscimento legale dei caregiver familiari da parte dello stato italiano, ha gravi conseguenze sui diritti delle persone con disabilità, compresi i loro familiari, a vivere in modo indipendente nella comunità e a raggiungere l’inclusione e la partecipazione nella società, in violazione dell’articolo 19 della Convenzione;

– lo Stato italiano non stanzia specifiche risorse finanziarie, sociali e di altro tipo per garantire alle famiglie l’accesso a tutto il sostegno necessario, in base alle esigenze della persona con disabilità, affinché questa possa vivere con la propria famiglia e non essere collocata in istituti, in violazione dell’articolo 23 della Convenzione;

– lo Stato italiano non riconosce alcuna forma di protezione sociale o assicurazione per i caregiver familiari, esponendo le famiglie delle persone con disabilità ad alto rischio di povertà, in violazione dell’articolo 28 della Convenzione.

La denuncia era preceduta dalla descrizione dettagliata da parte del Comitato ONU delle attività di cura di cui M. S. Bellini si occupava nei confronti della figlia e del partner:

“Alla figlia sono state diagnosticate brachicefalia, tetraplegia con ipotonia generalizzata, epilessia mioclonica, disabilità intellettiva, disturbi dell’alimentazione e del sonno, atassia, assenza totale di linguaggio verbale, sindrome da vomito ciclico, bava incontrollata e comportamenti autolesionistici. L’autrice si occupa di tutti gli aspetti della vita quotidiana della figlia, come l’igiene personale, la medicazione, i cambiamenti posturali, l’alimentazione, l’uso di ausili riabilitativi, la pulizia dell’ambiente domestico, il cambio quotidiano del letto e l’assistenza notturna. Inoltre, accompagna la figlia in un centro diurno specializzato dalle 9.30 alle 14.30 dal lunedì al venerdì e dalle 9.30 alle 12.00 il sabato, per assistere la figlia al centro. Di notte, l’autrice è spesso costretta a rimanere sveglia per sorvegliare la figlia e gestire gli attacchi epilettici e le crisi di vomito. Poiché la figlia è anche affetta da comportamenti autolesionistici, tra cui il mordersi la lingua e le mani a causa del quale ha subito diversi interventi di ricostruzione, l’autrice è spesso costretta a tenerle un dito in bocca per impedirle di mordersi, anche di notte. Negli ultimi dieci anni, l’autrice si è occupata anche del suo compagno. Nel 2007, dopo cinque anni di relazione, il compagno ha avuto un’emorragia cerebrale che lo ha portato al coma. Le conseguenze per la sua salute sono state gravi. Gli sono stati diagnosticati diabete, ipertensione, atassia cerebrale, mancanza di equilibrio e mobilità, vuoti di memoria e depressione. Ha bisogno di assistenza continua per l’igiene, le medicine, i pasti e la deambulazione. L’autrice assiste inoltre la figlia e il suo compagno gestendo tutti i loro rapporti con le istituzioni quali il Comune, il Dipartimento dei Servizi Sociali, gli ospedali, la scuola, i centri di riabilitazione, gli istituti di credito e i centri per l’autonomia, per l’erogazione di servizi, prestazioni, sostegno alla famiglia, visite e cure mediche. Si occupa inoltre di vari adempimenti amministrativi. […]”

Dopo il ricorso di M. S. Bellini, lo Stato italiano ha presentato le sue osservazioni sull’ammissibilità e sul merito della comunicazione del Comitato delle Nazioni Unite sostenendo che la stessa “dovrebbe essere dichiarata irricevibile in quanto manifestamente infondata”, sostenendo, inoltre, il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne e la previsione da parte della legislazione nazionale di diverse forme di tutela già sufficienti, in particolare “le disposizioni dell’articolo 33 della Legge n. 104, secondo cui i caregiver hanno diritto a tre giorni di permesso retribuito dal lavoro al mese e ai relativi contributi figurativi”. I contenuti della replica colpiscono profondamente sia per la superficialità, sia per la distanza e la mancanza di volontà di comprendere ed assumere la responsabilità, nonostante l’accurata descrizione, della drammatica situazione di abbandono in cui tantissime famiglie e caregiver si trovano.

Il Comitato ONU prima di entrare nel merito della questione, chiarisce i presupposti a partire dai quali la Convenzione protegge i diritti di individui diversi dalle persone con disabilità. Nel farlo si riferisce, in particolare, all’articolo 28, in cui la Convenzione richiede esplicitamente agli Stati Parti di “garantire l’accesso delle persone con disabilità e delle loro famiglie” all’assistenza, al fine di salvaguardare e promuovere il diritto delle persone con disabilità alla protezione sociale. Il Comitato ricorda, inoltre, che la discriminazione “sulla base della disabilità” può essere fatta anche nei confronti di persone associate a una persona con disabilità, ed è nota come “discriminazione per associazione”.

Dopo questa premessa il Comitato smonta le osservazioni opposte dallo Stato italiano e afferma che la signora ha “sufficientemente motivato le richieste avanzate per conto della figlia e del compagno ai sensi degli articoli 19 e 23, nonché le richieste avanzate per conto della famiglia – ossia lei stessa e la figlia e il compagno – ai sensi dell’articolo 28, in combinato disposto con l’articolo 5 della Convenzione, ai fini della ricevibilità”.

Il Comitato prende atto, quindi, delle affermazioni di M. S. Bellini circa la violazione dei diritti della famiglia ai sensi dell’articolo 28 della Convenzione, in quanto lo Stato italiano non riconosce alcuna forma di protezione sociale o di assicurazione per i caregiver familiari e che, a causa di questa mancanza, le famiglie di persone con disabilità sono ad alto rischio di povertà e hanno quindi particolare bisogno di protezione sociale in termini di risorse, tempo e servizi (sono state sottolineate con preoccupazione le conseguenze di genere di queste politiche, in cui prevalentemente sono le donne ad essere costrette a rimanere in famiglia come assistenti dei loro familiari con disabilità).

Per avvalorare ulteriormente tali affermazioni il Comitato ha richiamato un precedente Commento generale (CRPD/C/GC/5/2017) sulla vita indipendente e l’inclusione nella comunità, in cui si osservava che “i servizi di sostegno  individualizzati devono essere considerati un diritto piuttosto che una forma di assistenza medica, sociale o caritatevole”, e che “il sostegno finanziario è cruciale anche per i familiari assistenti, che spesso vivono in situazioni di estrema povertà senza la possibilità di accedere al mercato del lavoro”. Gli Stati parti hanno quindi l’obbligo di fornire sostegno sociale alle famiglie delle persone con disabilità per garantire la piena realizzazione del loro diritto a vivere in modo indipendente e ad essere incluse nella comunità, cosa che in Italia non sembra avvenire in modo equo (essendoci grandi disparità sul territorio) e adeguato, come era stato già sottolineato nelle Osservazioni conclusive sul Rapporto iniziale dello Stato italiano sull’attuazione della Convenzione ONU, in cui si esprimeva “preoccupazione per la tendenza a istituzionalizzare nuovamente le persone con disabilità nello Stato parte e per il fatto che i fondi non sono stati riassegnati dalle istituzioni alla promozione e alla garanzia di una vita indipendente per tutte le persone con disabilità all’interno della loro comunità”.

In conclusione il Comitato ha ritenuto che lo Stato italiano sia venuto meno agli obblighi previsti dalla Convenzione, sia per la figlia e il compagno di M. S. Bellini, sia per lei stessa ed ha imposto l’obbligo di garantire un adeguato risarcimento alla famiglia ed adottare “misure appropriate per garantire che la famiglia dell’autore abbia accesso ad adeguati servizi di sostegno individualizzati”. Inoltre, utilizzando il caso particolare per affrontare la situazione generale dei caregiver, ha richiamato lo Stato italiano anche all’obbligo di “adottare misure per prevenire violazioni simili in futuro” e in particolare:

– garantire, attraverso la modifica della legislazione nazionale, se necessario, che i programmi di protezione sociale soddisfino le esigenze delle diverse persone con disabilità su base paritaria con gli altri;

– informare le persone con disabilità sul loro diritto a vivere in modo indipendente e a essere incluse nella comunità in modi che possano comprendere e fornire corsi di formazione per l’empowerment con l’obiettivo di aiutare le persone con disabilità a imparare a far valere i propri diritti;

– attuare misure di salvaguardia per mantenere il diritto a una vita autonoma e indipendente in tutte le regioni e riorientare le risorse dall’istituzionalizzazione ai servizi basati sulla comunità e aumentare il sostegno al bilancio per consentire alle persone con disabilità di vivere in modo indipendente e di avere pari accesso ai servizi, compresa l’assistenza personale e il sostegno ai caregiver familiari, ove applicabile.

Ora lo Stato italiano dovrebbe presentare al Comitato, entro sei mesi, una risposta scritta, che includa informazioni su qualsiasi azione intrapresa alla luce delle raccomandazioni e osservazioni ricevute (sulla questione è stata già anche fatta un’interpellanza urgente n° 2/00009, presentata il 15 novembre scorso alla Camera).

La lotta di M. S. Bellini e le raccomandazioni del comitato hanno avuto il merito di riportare l’attenzione su un tema centrale, di importanza cruciale e che interessa tantissime famiglie. In Italia secondo gli ultimi dati Istat relativi al 2018, 12 milioni 746 mila persone tra i 18 e i 64 anni si prendono cura dei figli minori di 15 anni o di parenti malati, disabili o anziani. In particolare le persone che assistono regolarmente figli o altri parenti di 15 anni e più in quanto malati, disabili o anziani sono oltre 2 milioni e 800 mila (7,7%). È una responsabilità di cura che grava sul 9,4% delle donne di 18-64 anni e sul 5,9% degli uomini. La quota è maggiore tra gli individui di 45-64 anni (12,2%) e tra gli inattivi (9%). Sono, in ultimo, quasi 650 mila le persone che si prendono cura contemporaneamente di figli minori di 15 anni (coabitanti e non) e di altri familiari malati, disabili o anziani di 15 anni e più. Inoltre, le già difficili situazioni in cui versano molti nuclei familiari e caregiver sono rese ulteriormente gravi dalla crisi in corso e dall’aumento vertiginoso delle spese per bollette e i rincari di questo periodo.

Diverse realtà e reti di associazioni (CONFAD, FISH, ANFFAS, …), pur esprimendo apprezzamento per la pronuncia del Comitato dell’ONU, hanno altresì espresso la speranza che lo Stato italiano dia seguito alle raccomandazioni ed intervenga sulle questioni relative al riconoscimento, allo status giuridico, alle tutele e agli aiuti da riservare alla figura del caregiver. Sarebbe opportuno procedere all’adozione di una apposita legge che riconosca la figura del caregiver familiare e ne preveda adeguati sostegni, ripartendo, come suggerito da più parti, dalla discussione del testo di proposta di legge unificata (Disegno di Legge A. S. n. 1461), cui erano già state presentate diverse memorie e proposte di modifica da parte di varie realtà (FISH, ANFFAS, Forum Terzo Settore, …), ma la cui discussione si è arenata in Senato nell’estate 2020. Come affermato sulle pagine di Handylex.org, è necessario che lo Stato italiano riconosca e tuteli i caregiver, “se vuole davvero garantire i diritti di coloro che da essi dipendono e quindi implementare veramente la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità”.

Domenico Massano