Gazzetta Dentro: il carcere, il tempo, la città ed un giornale tra dentro e fuori.

Il presente testo è già stato pubblicato su “domenicomassano.it” e su “Animazione Sociale 357/22“, e viene qui ripreso, con lievi adattamenti al diverso contesto.

C’è una scelta tra farne (del carcere) la sede di un servizio e farne invece la sede di una severità simbolica, che si impone a chi è dentro le mura, per rendere più tranquilli e rassicuranti l’approssimazione morale e il disimpegno esterno” (Margara A.)i.

Il tempo “sottratto”, come sottolineato dal Presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, “deve avere sempre significato” coerentemente con il dettato costituzionale: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” (art.27 c.3). L’imprescindibile impegno al concreto ed effettivo orientamento della pena detentiva alla finalità costituzionalmente espressa rappresenta “la concretizzazione di un diritto soggettivo della persona reclusa”ii. Nel caso della detenzione in carcere, tale finalità è ulteriormente specificata e declinata concretamente, nelle norme sull’Ordinamento Penitenziario (l. 26 luglio 1975, n. 354, recentemente revisionata con la riforma del 2018), il cui articolo 1 recita: “Il trattamento penitenziario deve essere conforme a umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona. Esso è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a sesso, identità di genere, orientamento sessuale, razza, nazionalità, condizioni economiche e sociali, opinioni politiche e credenze religiose, e si conforma a modelli che favoriscono l’autonomia, la responsabilità, la socializzazione e l’integrazione”. Questa previsione di modello di “trattamento penitenziario”, che dovrebbe essere la traduzione dei valori e principi costituzionali, quasi sempre, però, risulta contraddetta nella quotidianità carceraria, che sembra piuttosto tendere ad infantilizzare e rendere anonime le persone detenuteiii, oltre ad essere ricca di incongruenze e criticità (sovraffollamento, carenze di organico, spazi ridotti e inadeguati, …), spesso correlate ed alimentate da un diffuso populismo penale nella società.

In tale situazione sembra doversi rilevare una certa continuità suppliziante della pena nonostante continui ed innovativi aggiornamenti della normativa, e pare essere ancora valida l’analisi che a metà anni Settanta sviluppava Michel Foucault: “La sofferenza fisica, il dolore del corpo, non sono più elementi costitutivi della pena. Il castigo è passato da un’arte di sensazioni insopportabili a una economia di diritti sospesi. La pena (però) ha difficoltà a dissociarsi da un supplemento di dolore fisico. […] Non è più il corpo, è l’anima. All’espiazione che strazia il corpo, deve succedere un castigo che agisca in profondità sul cuore, il pensiero, la volontà, la disponibilità”iv. Considerazioni in cui ritroviamo gli echi di quanto Vittorio Foa esprimeva, a partire dalla propria esperienza personale, nel primo dopoguerra: “Non c’è futuro. La speranza di salvezza viene meno. Il tempo si svuota. Le privazioni materiali del carcere sono poca cosa o comunque cosa alla quale l’organismo umano si adatta con facilità, […] il peso reale della detenzione consiste solo nel progressivo svanire della volontà col decorso del tempo”v. Considerazioni che, per molti aspetti, ritroviamo anche nei Rapporti annuali del Garante nazionale, per cui l’attenzione alla dimensione temporale, tema che negli ultimi due anni in relazione alle restrizioni legate alla pandemia ha attraversato e condizionato tutta la società, è centrale: “È osservazione ricorrente tra gli addetti ai lavori e tra le persone detenute che il tempo della carcerazione sia colmo di sofferenza, incertezza, ansia, angoscia, inattività: un coagulo di stati d’animo e di sentimenti che spesso risulta sterile”. L’analisi del garante, però, segnala anche alternative, strade percorribili per valorizzare e incanalare verso obiettivi il tempo della reclusione e aiutare “le persone a rendere fruttuosa l’esperienza detentiva”, individuando tra i fattori che possono concorrere al raggiungimento di questo traguardo, oltre alle opportunità lavorative e formative, l’offerta “di cultura e il riconoscimento della potenzialità di espressione culturale di ogni persona (che) potrebbero rendere più degna la detenzione”vi.

Con questa prospettiva, nonostante una cornice carceraria, complessa e per molti aspetti ambigua, continuano a svilupparsi iniziative e progetti che, seppur con alterni risultati, coinvolgono persone detenute, operatori e volontari ed in cui, per un puro caso e grazie ad un caro amico, mi son ritrovato anche io coinvolto (ormai dal 2018). Da allora mi occupo del coordinamento del progetto editoriale Gazzetta Dentrovii, nella Casa di Reclusione ad Alta Sicurezza di Quarto d’Astiviii. Si tratta di un periodico interno, promosso da oltre un ventennio dall’associazione Effatà, e realizzato nell’area trattamentale del carcere, in una piccola stanza le cui grate si affacciano sui “passeggi” e che l’associazione ha dotato di una stampante e di cinque postazioni con un computer ad uso personale di ogni redattore. Nel periodo del mio ingresso il giornale stava attraversando un momento particolarmente difficile che ne rese necessaria una riprogettazione e ripartenza. Attualmente è pubblicato bimestralmente (nel rispetto delle modalità condivise e con la trasmissione preventiva dei diversi articoli ai responsabili dell’area trattamentale e alla Direzione del carcere), e si propone di essere un’opportunità di comunicazione all’interno, ma anche all’esterno del carcere. Uno strumento che dia voce alle persone detenute e a chi opera nel carcere, che raccolga storie, poesie, iniziative, riflessioni, offrendo un’immagine della realtà “dietro le sbarre” diversa da quella percepita e filtrata dai media tradizionali. Un’esperienza che si vorrebbe connotata da una significativa valenza comunicativa che, grazie anche alla pubblicazione settimanale di alcuni articoli sul periodico locale Gazzetta d’Asti, intende contribuire a creare un ponte fra carcere e comunità locale, due “luoghi” che, pur trovandosi nello stesso territorio, sembrano lontanissimi e sconosciuti. Presupposto e base di tale progetto è il lavoro di una “Redazione”, cui partecipano redattori “interni” (persone detenute) ed “esterni” (volontari), un gruppo di lavoro che cerca di sviluppare pensieri, integrare competenze e di crescere insieme e la cui organizzazione si basa sul reciproco rispetto, sul confronto democratico e sulla divisione e condivisione di compiti coerentemente con le competenze ed i ruoli assunti, oltre che sull’acquisizione di saperi e tecniche specifiche per la scrittura, per la realizzazione degli articoli e per la pubblicazione del giornale.

Neppure con la pandemia, il progetto si è interrotto, proseguendo a distanza con diverse modalità (on-line e telefoniche), testimoniando l’importante investimento umano che accompagna questo impegno, ben rappresentato nel racconto della sua esperienza da parte di una persona ristretta: “Sono circa due anni che lavoro presso la redazione della Gazzetta Dentro, ciò mi ha aiutato tantissimo, […] non solo scrivo articoli, ma costruisco anche lo stesso giornalino per poi distribuirlo nelle varie sezioni. Tutto questo ha fatto sì che io ritrovassi quella fiducia e autostima in me stesso che mi è mancata per tanti lunghissimi anni”. Inoltre, il fatto che il progetto della Gazzetta Dentro trovi settimanalmente uno spazio esterno su un giornale locale, garantisce un’opportunità di grande valore conoscitivo e comunicativo non solo per chi lavora nella redazione, ma anche per l’intera comunità: “la pubblicazione di alcuni articoli sul quotidiano cittadino Gazzetta d’Asti ci permette di far comprendere alla società che qui dentro esistono delle “persone” non reati che camminano”.

Nell’estate 2022, il nuovo progetto editoriale, a due anni e mezzo dalla ripartenza, è giunto alla significativa tappa dell’articolo numero 100 pubblicato sulla Gazzetta d’Asti. Attraverso questi 100 articoli, a firma di diverse persone detenute, sono stati affrontati un’ampia serie di argomenti e sono stati presentati diversi incontri-intervista tenuti con esperti esterni su temi particolarmente rilevanti (Covid-19, Chiesa e Religione, LGBTQ+, Gioco d’Azzardo Patologico, Scuola ed istruzione, Carcere e Pena, …). Come ogni tappa anche questo è un momento significativo in cui, alla soddisfazione per il traguardo raggiunto, è importante accompagnare alcune riflessioni sul percorso fatto, soprattutto a partire dalla testimonianza delle persone detenute che ne sono state protagonisteix.

Nelle parole di S. traspare l’importanza vitale della possibilità, pur in una situazione di detenzione, di mantenere un “contatto” con la società: “L’isolamento insito nel contesto carcerario, spesso pericolosamente, induce all’asfissia psicologica con conseguente coazione: ci si riduce ad un numero. Far parte della redazione mi fa sentire almeno un “numero pensante” e il poter esplicitare i miei pensieri con chi proviene da ambiente extramurario, mi rende vivo e non più vegetale. […] L’importanza della ricerca e della scrittura si sostanzia nella necessità di rimanere in contatto, seppure solo idealmente, con la società (la stessa che sovente generalizzando definisce il carcere una cloaca), ciò al fine di ricucire lo strappo con essa”.

Anche per M. l’incontro con l’altro restituisce un po’ di libertà, quantomeno di sperare, e la scrittura apre a nuove possibilità: “Faccio parte della redazione della Gazzetta Dentro, dove ho potuto coltivare e portare alla luce la nobile passione per la scrittura. Oltre ad essere una grande soddisfazione, è un motivo di ulteriore orgoglio che io possa oltrepassare la porta della mia cella per andare oltre. Mi da quella piccola sensazione di assaporare la libertà. Tutte quelle presenze, quei magnifici incontri che si manifestano spesso con professori, dottori, associazioni e altri, mi danno la carica e la volontà di conoscere e farmi conoscere. Attraverso la redazione ho imparato a utilizzare la parola scritta come veicolo di informazione e cultura”.

Nella riflessione di A. ritorna non solo il valore dello scrivere, ma anche del farlo confrontandosi con altre persone all’interno della redazione: “Inizialmente credevo che lo scrivere pensieri o esperienze vissute fosse fine a sé stesso, però poi, inconsapevolmente, iniziai a rendermi conto che molto probabilmente in un angolo remoto della mia testa c’era una parte che andava solamente sollecitata, […] Il lavoro di ricerca e di scrittura che avvengono all’interno della redazione non mi sono serviti, e non mi servono, a vedere il mio nome alla fine dell’articolo, sarebbe banale, ma hanno delle funzioni strutturali. Esse sono quelle dell’apprendimento, della conoscenza, fungono da moderatore caratteriale e per l’elasticità mentale e cognitiva. Elementi, questi, che risultano vitali nei rapporti interpersonali all’interno di una comunità e non”.

Per G. l’occasione di costruire e di scrivere per un giornale assume un valore particolare e generativo, soprattutto attraverso l’ascolto degli altri, dei lettori: “Il poterci esprimere, il potere comunicare sono tra le cose più belle che abbiano noi esseri umani. La possibilità che mi è stata data di fare parte della Redazione è una finestra che si è aperta, per potermi raccontare dopo un lungo periodo di chiusura. Questa finestra mi ha permesso di scoprire un mondo a me estraneo, mi sono meravigliato di tutte le cose che non sapevo, e anche di tante altre che sapevo, ma non riuscivo a comunicare”.

Il valore dell’incontro è, inoltre, spesso reciproco e generativo, riguarda anche chi entra per essere intervistato e che spesso ne ha lasciato testimonianza:

“Ho incontrato in carcere la redazione della Gazzetta Dentro, […] È stato un momento molto arricchente per me. Questi ponti sono preziosi per aiutarli al reinserimento nella nostra società” (Paolo, Medico).

“Quando arriviamo nella stanzetta che funge da Redazione del progetto Gazzetta Dentro avvertiamo subito un’atmosfera di accoglienza vera, non costruita. Ci colpisce subito il loro desiderio di ascoltarci, di conoscere, di capire e avvertiamo nelle loro domande mancanza di pregiudizi, capacità di decostruire stereotipi. […] Ed è una libertà di pensiero che ogni giorno queste persone alimentano con fatica, grazie anche ai ponti che, passando attraverso le sbarre, fanno circolare i pensieri, le opinioni, le idee e permettono a tutte/i noi di trovare in queste occasioni dei veri momenti di arricchimento” (Oriella e Vittoria, responsabili associazioni LGBTQ+).

L’altro, che sia la persona che si incontra in carcere, oppure la società dei lettori con cui si sviluppa un incontro mediato e si mantiene una porta aperta, ha un’importanza centrale ed in tale prospettiva, come si può evincere dalle testimonianze dei redattori, un ruolo fondamentale è quello del periodico locale Gazzetta d’Asti che attraverso la pubblicazione settimanale degli articoli estrapolati dal giornale del carcere, tiene vivo ed alimenta questo canale comunicativo con il territorio:

“Vedere pubblicati i miei articoli è sempre una soddisfazione. Ho la possibilità di mostrare le mie idee, le mie riflessioni, le mie interpretazioni, alla società fuori e cercare di dimostrare che noi carcerati non siamo una società da bandire, ma siamo persone sensibili che hanno un cuore che batte” (M.).

“Di per sé è gratificante vedere un proprio articolo pubblicato sul settimanale Gazzetta d’Asti, ma quello che lo è di più è il fatto che mai e poi mai avrei pensato che ciò potesse accadere” (A.).

“É molto significativo per me vedere pubblicati gli articoli sulla Gazzetta d’Asti, per il fatto che, e nella misura in cui sono utili anche alla collettività. Se così non fosse non avrebbe per me grande significato ed importanza” (S.).

Il carcere non è, infatti, un organismo estraneo alla società, ma ne è parte e vi è inevitabilmente collegato interrogandola costantemente perché, come afferma Gustavo Zagrebelsky: “La condizione carceraria riguarda coloro che stanno dentro, ma come problema di civiltà è prima di tutto un problema di chi sta fuori”x. È, quindi, anche (e forse soprattutto), nel rapporto tra dentro e fuori, e nella correlata possibilità di una proiezione verso un domani possibile, quando la persona ritornerà nella società da cui è stata temporaneamente esclusa in conseguenza del reato commesso, che si gioca l’attuazione della finalità costituzionalmente prevista per le pene, a partire dalla restituzione di significato e dinamicità al tempo trascorso “in detenzione”, che, invece, spesso la persona detenuta sperimenta come un tempo fermo, “vissuto nell’impotenza”, nella “degradazione” e “nell’insicurezza”xi.

In tal senso sono sempre attuali ed importanti le riflessioni di Alessandro Margara, il magistrato che ha legato la sua lunga vita proprio alla costruzione di un modello di pena costituzionale: “Capisco che sembra patetico e un poco stolido richiedere al carcere una finalità e anche una capacità di liberazione, e che questa prospettiva appaia oggi sempre più vana, e quasi futile parlarne, ma ciò che si vorrebbe, dietro queste prospettive forse illusorie, è il progresso delle istituzioni sociali, quella che potrebbe essere la democratizzazione, la loro evoluzione in sedi in cui si parla di diritti e si cerca di riconsegnare a chi non ne ha mai avuti, o li ha rifiutati, dei progetti di vita vivibili”xii xiii.

Questa “capacità di liberazione” (del tempo e della speranza), come traduzione della tensione rieducativa delle pene, si fonda su una visione prospettica centrata sul divenire progressivo di ogni persona sul piano esistenziale, sociale, relazionale e dovrebbe poggiarsi su un concreto impegno in quella che il pedagogista brasiliano Paulo Freire definiva “un’educazione dialogica, democratica e coraggiosa che affronti la discussione con ogni persona circa il suo diritto alla partecipazione […] non è nel silenzio che gli uomini si fanno, ma nel dialogo, che è un incontro di uomini, attraverso la mediazione del mondo”. Mondo che impressiona e sfida ognuno, dando origine a visioni o punti di vista su di sé, sugli altri e sull’intera società. Visioni impregnate di ansie, di dubbi, di speranze o disperazioni che comportano temi significativi, sulla base dei quali si potrà costruire “un dialogo vero, alimentato e reso possibile da un pensiero critico che riconosce tra gli uomini una solidarietà che non si spezza e che percepisce la realtà come un processo in costante divenire (e non come qualcosa di statico ed immutabile), e che non ha timore di immergersi costantemente in questa temporalità”xiv.

A volte si è tentati di identificare il carcere con una sorta di nonluogo, ossia “un luogo in cui colui che lo attraversa non può leggere nulla né della sua identità (del suo rapporto con sé stesso), né dei suoi rapporti con gli altri”xv. Il nonluogo, però, è anche questione di sguardo, qualcosa che riguarda sì lo sguardo ampio, culturale, sociale, politico, ma anche (e forse soprattutto) lo sguardo personale, quello che quotidianamente posiamo su alcune realtà ed istituzioni (non solo il carcere ma anche CPR, RSA, Comunità, …), in cui la vita viene bloccata, “luoghi ed ambienti accomunati dalla incapacità di dare significato al tempo che vi si trascorre”xvi. Un cambiamento di sguardo forse può, quindi, contribuire a creare piccole isole relazionali, contesti di vita in cui i rapporti tornano ad essere vivi ed il tempo torna, anche se per poco, ad assumere significato.

Un aspetto che colpisce entrando nel carcere di Asti, percorrendo i lunghi corridoi e attraversando i diversi cancelli che portano alla redazione sono gli orologi fissati sulle pareti lungo il tragitto: tutti fermi con le lancette che segnano le ore più disparate. Al rientro, dopo le restrizioni agli ingressi legate alla pandemia, quello della redazione aveva ripreso a funzionare. Qualcuno ne aveva cambiato la batteria. Potrebbe essersi trattato solo di un caso, ma ha dato l’impressione che nella redazione della Gazzetta Dentro, il tempo “bloccato” del carcere potesse essere “liberato”. Forse perché seppur sommessamente e con inevitabili criticità e ambiguità, questo progetto editoriale cerca di essere un’esperienza di condivisione, un significativo, per quanto limitato e fragile, spazio di dialogo, di vita e di speranza. Un’esperienza che cerca di essere un piccolo spiraglio da cui provare a guardare in modo diverso non solo alla realtà carceraria ma alla società di cui tutti siamo parte. È un percorso fatto di parole e riflessioni che continuano ad attraversare le sbarre per contribuire a costruire ponti, a tessere tenui fili relazionali e comunicativi tra persone e realtà differenti e, spesso, lontane ma appartenenti a un’unica comunità di vita. Un percorso che cercherà di proseguire verso le prossime tappe, sempre orientato dalla prospettiva e animato dalla speranza di contribuire a tener viva questa ineludibile “dialettica tra noi e gli altri in cui si gioca la complessa dinamica che lega identità e convivenza”xvii.

Perché in fondo come ricorda G.: “dialogare, leggere, scrivere, continuare ad imparare fa bene a tutti. Il poter guardare il mondo con occhi diversi (e “di versi”) è una esperienza meravigliosa”.

Domenico Massano, pedagogista e volontario in carcere

i Margara A., Memoria di trent’anni di galera, Il Ponte, Firenze, n. 7/9 1995

ii Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà, Relazione al parlamento 2022. Cfr anche: Palma M., Presentazione della Relazione del Garante 2022 al Parlamento, Senato della Repubblica, 20 giugno 2022, https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/it/pub_rel_par.page.

iii Manconi L., Calderone V., Anastasia S., Resta F., Abolire il carcere, Chiarelettere, Milano, 2015. Cfr anche: Buffa P., Umanizzare il carcere, Laurus Robuffo, Roma, 2015. Cfr anche: Ass. Antigone, Il carcere visto da dentro, XVIII Rapporto sulle condizioni di detenzione, 2022, https://www.rapportoantigone.it/diciottesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/

iv Foucault M., Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino, 2013.

v Foa V., Psicologia carceraria, in «Il Ponte», Firenze, 1949.

vi Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà, cit.

vii Massano D., Gazzetta Dentro 2021 / Asti: carcere, sovraffollamento e Covid-19 / Gazzetta Dentro 2020, http://www.domenicomassano.it/

viii Nel 2015 il carcere di Quarto d’Asti è passato da Casa Circondariale per detenuti con condanne brevi o in attesa di giudizio, a Casa di Reclusione che ospita persone con pene lunghe e molte in regime di alta sicurezza.

ix Gazzetta d’Asti, Asti, anni 121-123 (2020-2022).

x Zagrebelsky G., in Abolire il carcere, cit..

xi Mathiesen T., Perchè il carcere? EGA, Torino, 2003, p. 16.

xii Margara A., Memoria di trent’anni di galera, Il Ponte, Firenze, n. 7/9 1995

xiii Margara A., La giustizia e il senso di umanità, Antologia di scritti a cura di Corleone F., Fondazione Giovanni Michelucci, Fiesole (FI), 2015.

xiv Freire P., L’educazione come pratica di libertà, Mondadori, Milano, 1973. Cfr anche: Freire P., La pedagogia degli oppressi, EGA, Torino, 2002.

xv Augé M., Nonluoghi. Introduzione a un’antropologia della surmodernità, Elèuthera, 2009. Cfr anche: Augé M., Disneyland e altri nonluoghi, Bollati Boringhieri, 1999.

xvi Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà, Relazione al parlamento 2022. Cfr anche: Palma M., Presentazione della Relazione del Garante 2022 al Parlamento, Senato della repubblica, 20 giugno 2022, https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/it/pub_rel_par.page.

xvii Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà, Relazione al parlamento 2021, https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/it/pub_rel_par.page.