I rapporti nonni – nipoti in una Sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani.

Recentemente i media sembrano riportare sempre più spesso affermazioni discriminatorie nei confronti delle persone anziane, rischiando di svilire un processo di valorizzazione dei diritti umani e dei legami famigliari che, sul piano legislativo e giurisprudenziale, negli ultimi anni si è andato progressivamente affermando, a livello europeo, con le pronunce della Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo.

Per questo mi pare opportuno riportare all’esame, in estrema sintesi, un percorso giudiziale durato un decennio e conclusosi alla Corte Europea dei Diritti Umani, che ha riguardato due nonni, da me assistiti con il mio Studio Legale (Studio Legale Massano).

La vicenda trae origine da una causa di separazione giudiziale nel corso della quale la madre avviava un procedimento penale nei confronti del padre per presunti abusi sessuali sulla figlia di 4 anni e, contestualmente, presentava ricorso per decadenza di responsabilità genitoriale del padre avanti il Tribunale dei Minori di Torino.

A seguito dei due procedimenti avviati dalla madre venivano sospesi gli incontri padre-figlia, ma anche gli incontri nonni paterni-nipote.

La sospensione degli incontri nonni-nipote avvenivano per il solo fatto che i nonni “ricordavano alla nipote la figura del padre”.

Contro la sospensione degli incontri i nonni paterni presentavano istanza al Tribunale dei Minori per rivendicare il loro diritto a vedere la nipote, seppure in luogo neutro e alla presenza di un operatore sociale, ma la loro richiesta veniva respinta.

Il procedimento penale si concludeva con una sentenza che assolveva il padre con formula piena, “perché il fatto non sussiste”.

Nonostante l’assoluzione in sede penale del padre veniva mantenuto il divieto del Tribunale dei Minori che impediva ai nonni paterni di vedere la nipote.

Contro il provvedimento del Tribunale dei Minori i nonni proponevano reclamo alla Corte d’Appello Sezione Minori e ricorso alla Corte di Cassazione. Entrambi i ricorsi avevano esito negativo.

I nonni, dopo aver esperito tutti i gradi di giudizio in Italia, trascorsi otto anni dalla prima loro richiesta di poter incontrare la nipote, ricorrevano alla Corte Europea dei diritti dell’uomo denunciando diverse violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali. In particolare la violazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti umani che dispone che “ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e famigliare” e chiedevano l’applicazione dell’art. 41 della Convenzione stessa.

La Corte Europea accoglieva il motivo di ricorso previsto dall’art. 8 della Convenzione ricordando che l’articolo ha come obiettivo quello di premunire la persona contro le ingerenze arbitrarie dell’autorità pubblica e di salvaguardare i legami famigliari.

La sentenza della Corte Europea (CEDU 20/01/2015, ricorso 107/10), evidenzia tre aspetti importanti per il raggiungimento di quest’obiettivo:

  1. Il primo è un divieto, un provvedimento puramente negativo.
  2. Il secondo è l’obbligo di un comportamento “attivo”, per rendere possibile il raggiungimento dell’obiettivo.
  3. Il terzo dispone che il comportamento attivo debba attuarsi in un arco di tempo ragionevole, tale da non pregiudicare in via definitiva o in modo grave il riconoscimento del diritto.

Questi due ultimi aspetti rappresentano un’evoluzione della giurisprudenza della Corte Europea, perché non si limita a dare imposizioni in negativo, ma dispone che si debbano adottare tutte le misure utili a raggiungere l’obiettivo e a rendere concreta e veloce l’applicazione delle stesse.

A ulteriore evidenziazione di quest’ultimo aspetto la sentenza ha ritenuto applicabile l’art. 41 della Convenzione.

Tale articolo stabilisce che se dalla violazione della Convenzione e dei protocolli attuativi, derivi un danno irreversibile agli interessati, vada accordato alla parte lesa un risarcimento in via d’equità, come nella fattispecie, è avvenuto.

Avv. Michelangelo Massano