L’autodeterminazione negata e il paradigma del confinamento (in RSA, RSD, …) delle persone anziane e con disabilità.

Giuseppe Carluccio aveva 91 anni, era descritto come una persona lucida e cordiale. Il 3 giugno 2021 nel tentativo che aveva pianificato per evadere da una RSA a Robbio, in provincia di Pavia, in cui era stato inserito dal mese di settembre 2020, dopo la morte della moglie, si è calato da una finestra con un tubo di gomma, procuratosi in precedenza, è scivolato, ed è, successivamente, morto in ospedale.
Circa un anno prima, nel mese di aprile 2020, aveva destato commozione e indignazione l’ultima lettera di un nonno, scritta prima di morire di Covid-19 nella RSA in cui era ristretto:

“Da questo letto senza cuore scelgo di scrivervi cari miei figli e nipoti. Comprendo di non avere più tanti giorni … Non volevo dirvelo per non recarvi dispiacere su dispiacere sapendo quanto avrete sofferto nel lasciarmi dentro questa bella prigione. … Nella mia vita non ho mai voluto essere di peso a nessuno, forse sarà stato anche per orgoglio e quando ho visto di non essere più autonomo non potevo lasciarvi questo brutto ricordo di me, di un uomo del tutto inerme, incapace di svolgere qualunque funzione. Certo, non potevo mai immaginare di finire in un luogo del genere. Apparentemente tutto pulito e in ordine, ci sono anche alcune persone educate ma poi di fatto noi siamo solo dei numeri, per me è stato come entrare già in una cella frigorifera. … Vorrei che sappiate tutti che per me non dovrebbero esistere le case di riposo, le RSA, le prigioni dorate e quindi, si, ora che sto morendo lo posso dire: mi sono pentito. Se potessi tornare indietro supplicherei mia figlia di farmi restare con voi fino all’ultimo respiro, … La mia dignità di uomo, di persona perbene e sempre gentile ed educata è stata già uccisa … non cerco la giustizia terrena, spesso anche questa è stata così deludente e infelice. Fate sapere però ai miei nipoti (e ai tanti figli e nipoti) che prima del coronavirus c’è un’altra cosa ancora più grave che uccide: l’assenza del più minimo rispetto per l’altro …”.

Storie di vite interrotte indicative di come l’inserimento in struttura residenziale, è vissuto da molte persone (pur senza fare generalizzazioni), che vi sono state ristrette come in “prigioni”, luoghi di privazione della libertà, della dignità, degli affetti da cui cercare, fino all’ultimo, di evadere.

Non è un caso che nella Relazione al Parlamento 2021 il Garante nazionale delle persone private della libertà, abbia dedicato particolare attenzione alle residenze per anziani (RSA) e per persone con disabilità (RSD), evidenziando come anche quando in tali strutture la prevenzione del contagio è stata effettiva, ne è risultata una tutela essenzialmente biologica della vita “svincolata da quel concetto ampio della persona e della vita stessa a cui fanno riferimento gli strumenti di tutela dei diritti umani, a livello nazionale e internazionale (in particolare la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle persone con disabilità, CRPD, l. 18/09, ndr)”. L’analisi del Garante prosegue sottolinenando come tale situazione non sia da leggere solo in relazione alla pandemia, ma sia indice della latenza, correlata a queste strutture ed al loro funzionamento ma non solo, di una sorta di “paradigma del confinamento e del non riconoscimento del diritto all’autodeterminazione possibile, quantunque residuale, in ogni persona, indipendentemente dal limite della possibile estensione del residuo stesso”. Come risulta evidente dalle tragiche vicende richiamate più sopra, spesso tale situazione si crea anche in relazione ad una risposta alle richieste di maggior sostegno delle persone che quasi le nega nella loro individualità specifica, offrendo (o imponendo) “strutture non di supporto ma di sostituzione della propria possibilità di autodeterminazione fino a giungere in casi limite, all’inserimento in servizi residenziali”, spesso centrati su un paradigma dell’assistenza paternalistica e dell’implicita istituzionalizzazione. In questi casi, sottolinea il Garante “l’azione protettiva della legislazione sociale assume il carattere prescrittivo e il luogo dell’ospitalità diviene l’unico in cui la società gli consente di vivere”.

La pervasività di tale deriva risulta anche dal fatto che nel corso dello svolgimento della sua attività di analisi e visita delle strutture residenziali il Garante ha ritenuto di dover sostenere personalmente, con una Raccomandazione ufficiale alla Procura del Tribunale di Lecco per una rivalutazione delle condizioni di vita e delle richieste di libertà di Carlo Gilardi, un professore novantenne deportato contro la sua volontà alla fine del 2020 in una RSA a Lecco e che ha confermato in un recente incontro la “sua ferma e persistente opposizione alla propria permanenza nella struttura”. Secondo il Garante tale situazione “evidenzia il conflitto tra la volontà della persona e le decisioni adottate in ragione di una sua tutela e che finisce col determinare una privazione di fatto della sua libertà personale”, dando luogo ad una situazione che “non è ulteriormente sostenibile” perché può porre “seri problemi relativamente ai diritti fondamentali di libertà”.

Una situazione emblematica, al pari di quelle precedentemente richiamate, di un contesto che “rischia di determinare una istituzionalizzazione inaccettabile” delle persone anziane e/o con disabilità, con “disposizioni adottate in assenza sia di una proporzionata modulazione dell’intensità del sostegno necessario a garantire una qualità della vita adeguata ai bisogni della persona, sia di una valutazione del suo migliore interesse nel declinare le discipline di assistenza in suo favore”.

Si tratta di storie personali emerse con difficoltà, probabilmente solo la punta dell’iceberg di un sistema che continua a operare come se nulla fosse, ma che ne svelano il tragico travisamento di paradigma “da quanto internazionalmente condiviso a tutela della persona, riconosciuta pur sempre titolare di soggettività incomprimibile, a quanto attuato sulla base di un concetto di tutela profondamente sostitutivo della volontà del singolo”.

Soprattutto portano alla luce l’assenza della garanzia e del riconoscimento dell’esigibilità dei diritti che l’ordinamento assicura e dovrebbe garantire a tutte le persone. La mancata tutela di tali diritti, secondo il Garante, “è indice della impreparazione culturale a promuovere forme di partecipazione alla scelta e di promozione dell’autodeterminazione”.

Vi è, tuttavia, anche un altro aspetto da non sottovalutare. Come sottolineato recentemente da M. G Giannichedda, sociologa e storica collaboratrice di Basaglia, “le residenze assistenziali costituiscono per il privato un grande affare, che in questi anni è cresciuto in modo vistoso e incontrastato, mentre l’offerta di servizi di prossimità, finora a gestione pubblica o del privato sociale, è regredita o entrata in sofferenza. Secondo dati del ministero della salute, nel decennio 2007- 2017 le residenze assistenziali sono aumentate del 44%, da 5.105 a 7.372, e mentre nel 2007 le residenze assistenziali private erano il 72,8% del totale, nel 2017 sono diventate 6.070, cioè l’82,3% del totale”.

Tale amara considerazione è specchio di un contesto in cui sembra sempre più importante e urgente affiancare a scelte politiche ed economiche tali da garantire la partecipazione, l’autodeterminazione e il diritto alla vita indipendente delle persone (come previsto dall’art. 19 CRPD, che è la l. 18/09), l’avvio, come ammoniva Stefano Rodotà, di “una battaglia culturale, una pratica educativa, una tensione morale”, per la realizzazione di una società realmente inclusiva, in cui sia riconosciuto il valore del contributo di ciascuno e in cui siano garantiti il pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutte le persone.

Domenico Massano

Si veda anche: COVID-19 e la tragedia nelle strutture residenziali; Coronavirus e persone con disabilità

N.B.: immagine in evidenza raffigura una persona anziana che si tiene la testa tra le mani