Tutela giudiziaria contro le discriminazioni delle persone con disabilità: la Legge 67/2006.

È opportuno richiamare l’attenzione su una legge non recente, ma che continua a essere poco conosciuta nel nostro paese. L’Italia a partire dal 2006 si è dotata di una normativa per la tutela giurisdizionale delle persone con disabilità vittime di discriminazioni. Si tratta della legge 1° marzo 2006, n. 67 recante “Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni“. Questa legge ha introdotto un rimedio di carattere generale che non si sostituisce, ma si aggiunge agli strumenti di tutela esistenti.

La legge all’art. 1, comma 1, rinvia all’art. 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), che definisce persona con disabilità chi “presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”; la legge 104 si estende anche agli stranieri e agli apolidi, residenti, domiciliati o aventi stabile dimora nel territorio nazionale, sebbene le relative prestazioni siano corrisposte nei limiti e alle condizioni previste dalla legislazione vigente o da accordi internazionali.

All’art. 2 comma 2, la legge 67/2006 enuncia il divieto di discriminazione nei confronti delle persone con disabilità e prosegue con la definizione di discriminazione diretta e indiretta e di diverso tipo.

“Si ha discriminazione diretta quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga”.

“Si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento, apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone.”

“Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi connessi alla disabilità, che violano la dignità e la libertà di una persona con disabilità, ovvero creano un clima di intimidazione, di umiliazione e di ostilità nei suoi confronti.”

Viene inoltre data rilevanza al carattere oggettivo della nozione di discriminazione e pertanto si considera realizzata la discriminazione anche per il solo fatto dell’esistenza di un effetto differenziato sulle persone con disabilità, senza che assuma rilevanza la reale intenzione di differenziare.

Alla persona con disabilità che si ritenga vittima di discriminazione, l’art. 3 della legge 67/2006 garantisce tutela giurisdizionale attraverso gli strumenti già predisposti dall’ordinamento nell’ambito delle norme sull’immigrazione e la condizione dello straniero contenute nell’art. 44 del d.lgs. 286/1998.

In particolare, si prevede che, a fronte di istanza, proposta tramite ricorso, del soggetto leso, il giudice ordini la cessazione del comportamento pregiudizievole nonché la rimozione degli effetti della discriminazione (anche attraverso l’adozione di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate, ai sensi dell’art. 3, comma 3°) e, se richiesta, disponga la liquidazione del danno anche non patrimoniale subito.

Infine, secondo l’art. 4, la persona con disabilità può farsi rappresentare in giudizio da un’associazione tra quelle individuate ad agire con decreto del Ministro delle pari opportunità di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Queste stesse associazioni sono legittimate ad agire anche nei casi in cui eventuali comportamenti discriminatori assumano carattere collettivo.

Ho avuto modo di presentare esempi pratici di applicazione della summenzionata legge in due articoli di questo periodico presenti nel numero 2 (condotta discriminatoria nei confronti di un alunno disabile) e nel numero 3 (condotta discriminatoria del Comune: barriere architettoniche).

Avv. Luca Massano