“Noi, persone con disabilità, siamo sistematicamente private del nostro diritto di lavorare”.

L’eurodeputata Katrin Langensiepen nel mese di febbraio 2021 ha presentato al Parlamento Europeo la “Relazione sull’applicazione della direttiva 2000/78/CE del Consiglio che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro alla luce della UNCRPD (Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità)”.

Particolarmente significative e chiare le parole introduttive della relatrice al documento stilato dalla Commissione per l’occupazione e gli affari sociali del Parlamento Europeo: “Avere un lavoro è essenziale per la nostra vita. È fondamentale per avere rapporti interpersonali, guadagnare i mezzi finanziari necessari per condurre una vita sana e felice, realizzare il nostro potenziale umano, integrarci nella società. Tuttavia noi, persone con disabilità, siamo sistematicamente private del nostro diritto di lavorare”.

Affermazione che, purtroppo, rispecchia la situazione dell’Italia in cui, secondo il rapporto ISTAT del 2019 “Conoscere il mondo della disabilità: persone, relazioni e istituzioni”, risulta un “rilevante svantaggio” delle persone con disabilità nel mercato del lavoro: “E’ occupato solo il 31,3% delle persone tra i 15 e i 64 anni con limitazioni gravi contro il 57,8% delle persone senza limitazioni, nella stessa fascia di età. Lo svantaggio è ancora più netto per la componente femminile – risulta occupata solo il 26,7% delle femmine con disabilità mentre per i maschi la quota sale al 36,3% – uno scarto che ripropone le storiche differenze di genere nei livelli di occupazione”.

La presentazione della Relazione all’europarlamento si concludeva con la sottolineatura di come la nostra società sia “diversificata e la diversità è un valore e una forza che ci aiuterà ad affrontare le sfide locali e globali in continua evoluzione”, e, quindi, con l’auspicio della relatrice “che nel prossimo futuro riusciremo a vedere i vantaggi di avere luoghi di lavoro inclusivi e di vivere in una società inclusiva, e che, tutti insieme, renderemo onore al nostro motto ufficiale dell’Unione: Unità nella diversità. Tuttavia, c’è ancora un lungo cammino davanti a noi”.

L’amara considerazione finale sembra essere confermata, oltre che dai dati ISTAT, anche da un recente documento, la IX Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 68/99 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, presentato nel mese di febbraio 2021 dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e realizzata in collaborazione con INAPP sulla base dei dati 2016-2018. Pur analizzando un periodo precedente alla pandemia Covid-19 e alle sue inevitabili ricadute negative anche in quest’ambito (sicuramente aggravate dall’esonero delle aziende, in molti casi, dagli obblighi ex lege 68/99 di assunzione delle persone con disabilità[1]), il quadro della situazione che risulta dalla Relazione sembra già particolarmente preoccupante.

Emerge, infatti, come per le 733.708 persone con disabilità iscritte all’elenco del collocamento mirato nel 2018 (dato poi aggiornato statisticamente a circa 900.000), la condizione occupazionale prevalente sia lo stato di disoccupazione, le assunzioni a tempo determinato costituiscano la modalità contrattuale principale e la quota delle donne assunte sia sempre inferiore a quella degli uomini.

Per quanto riguarda le persone con disabilità già impiegate (dove continua ad esserci una grave disparità a sfavore delle donne: 41,2% di occupate rispetto al 58,8% degli uomini), dalle dichiarazioni PID (il Prospetto Informativo Disabili in cui si quantificano le quote di riserva previste dalla normativa), risulta che sul totale di 90.603 imprese private che hanno effettuato le dichiarazioni, il 45,5% denuncia la presenza di posti riservati a lavoratori con disabilità non coperti (scoperture). Sul versante degli enti pubblici sono 4.864 le dichiarazioni PID presentate, con una percentuale di soggetti con scoperture pari al 33,1%. Su un numero totale di 501.880 posizioni potenzialmente dedicate alle persone con disabilità ne risultano, quindi, scoperte 112.365 nel privato e 32.847 nel pubblico (144.852 complessivamente, circa il 30% dei posti). Una cifra particolarmente elevata ed ingiustificabile che, come affermato dall’eurodeputata Katrin Langensiepen, pare essere in buona parte imputabile al fatto che “spesso i datori di lavoro preferiscono pagare una multa piuttosto che assumerci”. A livello di genere continua, inoltre, ad esserci una grave disparità a sfavore delle donne (41,2% di occupate rispetto al 58,8% degli uomini).

Anche se nella Relazione si sottolinea il progressivo incremento degli avviamenti al lavoro (seppur ancora largamente insufficiente), soprattutto nel 2018, tale tendenza è, però, da leggere tenendo conto “della riforma introdotta dal D.lgs. 151/2015, la quale ha reso obbligatoria, per i datori di lavoro privati che occupino da 15 a 35 dipendenti, l’assunzione di un lavoratore con disabilità” (obbligo peraltro sospeso nel corso della pandemia). Inoltre con il D.lgs. 151/2015, all’articolo 1, si stabiliva che: “Entro centottanta giorni […] sono definite linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità”. A oggi, dopo oltre cinque anni dall’entrata in vigore della normativa (rispetto ai 6 mesi previsti), tali Linee Guida non ci sono ancora ed è, quindi, auspicabile che si concretizzi a breve l’impegno “alla definizione delle Linee Guida di revisione del processo di inclusione lavorativa, e la creazione di una banca nazionale del collocamento mirato”, assunto dalla Ministra Erika Stefani nel corso della presentazione al parlamento il 16 marzo 2021 delle linee programmatiche del nuovo dicastero per le Disabilità.

Come ribadiva nella sua relazione al parlamento europeo Katrin Langensiepen sembra che ci sia “ancora un lungo cammino davanti a noi”, e che alla garanzia dell’applicazione e del rispetto della normativa, debbano necessariamente accompagnarsi anche interventi su una dimensione culturale che porta ancora oggi in troppi casi, come segnalato nel rapporto dell’ISTAT 2019, a considerare “un problema per la produttività il collocamento di persone con disabilità”. È importante promuovere e sostenere questo cambiamento culturale sia con azioni volte ad aumentare la consapevolezza e l’accessibilità dell’informazione per tutte le persone con disabilità, come ha fatto la Commissione per l’occupazione e gli affari sociali del Parlamento Europeo che ha aggiunto alla propria Relazione una parte di facile lettura; sia con iniziative di sensibilizzazione come la campagna internazionale “The hiring chain”, lanciata dal CoorDown in occasione della Giornata mondiale sulla sindrome di Down 2021 per affermare che assumere una persona con sindrome di Down cambia la vita non solo al diretto interessato, ma può innescare un circolo virtuoso di nuove opportunità per tutti: “Coordown raccoglie la sfida della pandemia e della crisi sociale per affermare che l’inclusione lavorativa non è solo un diritto da garantire oggi più che mai per ogni persona, ma porta benefici nel contesto lavorativo e nella società tutta”.

(Parte del presente lavoro riprende il paragrafo “Persone con disabilità e lavoro” della sezione “Persona e disabilità” dell’edizione 2020 del Rapporto sui Diritti).

Domenico Massano

Descrizione immagine in evidenza: una ragazza con sindrome di down dietro la vetrina di dolci del negozio in cui lavora sotto la scritta “Start the hiring chain”, titolo della campagna del CoorDown.

[1] Dall’inizio dell’emergenza con il Decreto Cura Italia (D.L. n. 18/2020), il Governo parallelamente al blocco dei licenziamenti per le aziende, ha prorogato almeno sino alla fine di marzo 2021, anche l’esonero dall’obbligo di assunzione, nelle quote stabilite dalla Legge 68/99, dei lavoratori con disabilità (si veda la Circolare INPS n. 19 del 21 dicembre 2020 che conferma la sospensione dagli obblighi di assunzione delle persone con disabilità di cui all’art. 3, comma 5, della legge 68 del 1999, per le imprese che fruiscono della cassa integrazione ordinaria, della cassa integrazione in deroga, del fondo integrazione salariale o dei fondi di solidarietà bilaterale, in conseguenza dell’emergenza legata alla pandemia).