Cura e nuove forme di deumanizzazione nella pandemia.

La parola chiave intorno alla quale gravita la componente più dolorosa dell’intera vicenda pandemica è rappresentata dalla deumanizzazione”.

Così si legge in un recente documento approvato il 12 maggio 2021 dal Comitato Sammarinse di Bioetica (CSB) e intitolato “Umanizzazione delle cure e accompagnamento alla morte in scenari pandemici”, che apre ad una riflessione sia sulle nuove forme di deumanizzazione “legittimate” dall’emergenza ed emerse nel corso della pandemia, sia sulle possibili azioni da intraprendere perché tali drammatici esiti non abbiano più a ripetersi. Nell’introduzione al documento, la presidente del CSB, Luisa Maria Borgia, specifica come tale deumanizzazione sia strettamente correlata, riprendendo la riflessione della filosofa Hannah Arendt, alla perdita del “Diritto di avere diritti” per molte persone: “L’impatto violento e sincrono della pandemia nelle società di tutto il mondo ha spazzato via principi e diritti con una rapidità e con una radicalità tale da annichilire, nelle primissime fasi, qualsiasi considerazione che esulasse dalle confuse, affannate e contraddittorie risposte che la scienza e i decisori degli Stati hanno cercato di fornire”.

A partire da tali considerazioni, il CSB ha ritenuto “necessario e indifferibile” effettuare questa approfondita analisi per “aprire una riflessione sugli strumenti tecnici e sociali utilizzati in analoghe situazioni di emergenza, ponendosi il dubbio se basti imporre comportamenti semplificatori tesi a realizzare strumenti di lotta alle pandemie che risalgono ai grandi contagi medioevali, quali lockdown, quarantena e distanziamento fisico, o se non sia più opportuno aggiornare ed affinare le scelte in base all’esperienza del COVID-19 e nel rispetto dei principi etici e dei diritti umani”.

Il Comitato oltre alle considerazioni di carattere più generale ha, in particolare, soffermato la sua attenzione su tre gruppi di persone che, sebbene in modi differenti, sono stati particolarmente colpiti: bambini/e, operatori/trici del sanitario, persone con disabilità (e anziane).

Soprattutto nei confronti di queste persone la pandemia SARS-CoV-2 ha evidenziato “nuove forme di deumanizzazione” che, seppur da leggere strettamente in relazione con l’imprevedibile e improvvisa novità dell’emergenza sanitaria, hanno fatto emergere “l’assoluta necessità di programmare l’intero impianto del Servizio Sanitario alla luce di nuovi criteri organizzativi, auspicabilmente improntati a inderogabili valori di umanizzazione e rispetto della vita umana, in qualunque fase ed in qualunque condizione questa versi”. In tale prospettiva, e a partire dall’assunto che “La cura della persona malata non può circoscriversi ed esaurirsi nella sua mera componente fisica e biologica”, secondo il CSB sono da presidiare alcuni aspetti centrali: una riorganizzazione degli spazi di degenza, la previsione della prossimità di un familiare, il mantenimento di relazioni umane (anche attraverso l’implementazione dell’uso di mezzi informatici), la presenza di caregiver e/o assistenti personali dove ve ne sia la necessità, protocolli di cura in grado di garantire continuità tra ospedale e territorio, la possibilità di un’assistenza spirituale coerente con i desideri e gli orientamenti individuali e di un accompagnamento dignitoso e rispettoso della morte.

Molto chiare le conclusioni del CSB secondo cui “l’umanizzazione delle cure e del morire costituisce l’unico approccio possibile, a beneficio non solo di pazienti e familiari, ma degli stessi professionisti sanitari che … sopportano il pesante fardello fisico e psicologico della sofferenza e della morte dei pazienti”.

Per la realizzazione di tale processo di umanizzazione è necessario adottare un approccio biopsicosociale alla salute, come ribadito dall’OMS dal 2001, ponendo la persona “al centro di un sistema influenzato da molteplici variabili (organiche, psicologiche, sociali e familiari) fra loro interagenti … Tale modello, mutuato dalla CRPD (Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ndr), rappresenta la realizzazione del pieno rispetto dei diritti umani e … mira ad includere ognuno nella propria comunità di appartenenza perché, con appropriati sostegni, questi possa svolgere appieno il suo ruolo di cittadino”.

In ultimo il CSB formula alcune raccomandazioni a partire dalla speranza che quanto emerso dalla pandemia di Covid-19 non sia dimenticato, ma sia dibattuto e analizzato criticamente per poter costituire un importante riferimento nella riorganizzazione del sistema di Welfare e del Servizio Sanitario sulla base dei valori di umanizzazione, rispetto dei diritti e rispetto della vita di ogni persona, prevenendo il rischio di deumanizzazione che incombe su ogni altro possibile evento futuro.

Particolarmente significativa appare la raccomandazione relativa al sistema di welfare attuale “improntato alla massima protezione ma spesso inadeguato a realizzare il pieno rispetto dei diritti umani”, che dovrebbe essere oggetto di “una revisione critica a favore di un welfare di inclusione e partecipazione, in cui le persone rimangano nella propria comunità di appartenenza, sostenute da appropriati sostegni”.

La prospettiva inclusiva assume un valore paradigmatico soprattutto se letta in relazione all’elevato numero di persone decedute nelle residenze per anziani non autosufficienti e per persone con disabilità (RSA, RSD, …), inserite sulla base di scelte di un sistema di welfare (e sanitario) che si dichiara “protettivo” ma che, però, non solo non ha protetto, ma, per molti aspetti, ha esposto a maggiori rischi.

Domenico Massano

N. B.: immagine in evidenza rappresenta un volto che si frammenta (tratta da www.scuolastudiolavoro.it)