Contenzione meccanica del paziente: una pratica da superare.

La contenzione meccanica è la pratica volta a limitare o impedire il movimento volontario di una persona in cura, allo scopo dichiarato di evitare che procuri danno a sé o ad altri. Si tratta di un atto di limitazione della libertà personale, lesivo della dignità e dei diritti della persona e di “una pratica generalmente illecita, giustificata solo in casi di eccezionale pericolo per l’incolumità del paziente e delle persone che gli stanno intorno”. La modalità più frequente in cui si attua è legare la persona al letto o bloccarla su una sedia.

I servizi del Dipartimento di salute mentale in cui prioritariamente si attua sono i servizi Psichiatrici di diagnosi e cura (SPDC), le strutture residenziali e le comunità terapeutiche, pubbliche e private accreditate. Attraverso il diffuso utilizzo di questa pratica pertanto vengono poste limitazioni della libertà personale e la contenzione, in particolare se prolungata, produce esiti psicofisici negativi. Sulla base dei pronunciamenti di autorevoli istituzioni internazionali e nazionali si è giunti alla considerazione che la contenzione non è un atto sanitario né un atto medico e produce il peggioramento delle condizioni psicofisiche della persona. Inoltre non è rispettosa dei principi di cui agli artt 13 e 32 della Costituzione e della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità

In Italia si era molto discusso di contenzione a seguito del caso di Francesco Mastrogiovanni, deceduto nell’agosto 2009 nel reparto psichiatrico dell’Ospedale San Luca di Vallo della Lucania, dopo essere stato legato a un letto per più di 87 ore. Tale vicenda si era conclusa nelle aule giudiziarie con la sentenza Cass., Sez. V, sent. 20 giugno 2018 n. 50497 che aveva enunciato il seguente principio di diritto: “La contenzione meccanica non è atto terapeutico e, se non scriminata dallo stato di necessità, da valutarsi in base a criteri rigorosi, comporta per i sanitari responsabilità per sequestro di persona”. Si tratta di una delle rare decisioni di legittimità relative a fattispecie del genere e, probabilmente, di quella che si fa carico di chiarire con il maggior grado di approfondimento i profili di rilevanza penale delle pratiche contenitive.

Un’altra vittima della contenzione meccanica in Italia è stata Elena Casetto, morta carbonizzata in un letto nell’agosto 2019 a 19 anni, a causa di un incendio divampato nel reparto di psichiatria dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Da ultimo la vicenda di Wissem Ben Abdel Latif, arrivato con un barcone a Lampedusa il 2 ottobre 2021 e morto appena due mesi dopo, il 28 novembre 2021, all’età di 26 anni, nel reparto psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) dell’ospedale San Camillo, a Roma, legato per giorni braccia e gambe a un letto di contenzione.

Nel 2021 L’ex ministro della Salute Speranza si era impegnato a fermare la contenzione meccanica in tutti i luoghi di cura entro il 2023 (qui il documento). Ma la contenzione meccanica è una pratica ancora diffusa nel Servizio sanitario nazionale, come denuncia l’onlus “A Buon Diritto”. Per questo A Buon Diritto insieme a Sergio Mauceri ha deciso di pubblicare il rapporto Contenere la contenzione meccanica in Italia – Primo rapporto sui diritti negati dalla pratica di legare coercitivamente i pazienti psichiatrici nei SPDC.

E’ un problema ad oggi ancora molto rilevante per cui è auspicabile che per il futuro si cerchi di porre fine a questa pratica. Diventa indispensabile la ricerca, la formazione e l’informazione e l’aumento della consapevolezza dei diritti da parte delle persone che hanno avuto ed hanno problemi di salute mentale e dei loro familiari. C’è la necessità di riportare il dibattito nella società, fuori dai recinti specialistici e di recuperare la ripresa di un impegno della politica sui diritti e sulle organizzazioni della salute mentale.

Immagine in evidenza: locandina del docu-film “87 ore”, sulle ultime ore di vita di Francesco Mastrogiovanni. Disegno dell’interno di un reparto psichiatrico con un letto vuoto.